e così anche questo Natale è arrivato. Mi sono accorta che si avvicinava solo pochi giorni fa, quando la temperature ha iniziato a scendere.
Sono le 17.32, sono in diretta. Poche ore e inizierà il cenone a casa mia, nelle case di molti, certo non di tutti.
Che posso dire? Posso dire di non essere felice? Posso dire di non avere tutto ciò che si può desiderare di essenziale? Posso forse affermare che la vita con me sia stata avara? No, non posso dirlo. Non posso osare nemmeno pensarlo.
Forse è per questo che mi sento tanto in colpa al pensiero che vivo ogni giorno con queste ombre sul cuore. Una specie di latente insoddisfazione, una tristezza. Cos’è?
Cosa voglio?
Perchè mi sono detta: se c’è qualcosa che non va mettiamola a fuoco così proviamo a cambiare le cose e ad avvicinarci pian piano alla serenità. Ma non so capire dove sia il problema. Solo una cosa ho capito: ho bisogno di parlare con qualcuno. Vorrei tanto qualcuno che mi ascoltasse sincero.
Qualcuno che non vedesse come sono o non sono fuori, non vedesse cosa faccio nella vita, che non si facesse condizionare da nulla. Che ascoltasse e basta. Che sospendesse il giudizio come ho imparato fare io qualche anno fa e che di ogni domanda che mi ponesse volesse sentire davvero la risposta.
Ma oggi abbiamo tutti troppi problemi e pensieri. Vogliamo comprensione ma non abbiamo risorse per gli altri.
Così mi accorgo che…se non ho nessuno che ascolta smetto anche di parlare. Chi l’avrebbe mai detto.
Buon Natale.
Sandra
Non è detto che quell’insoddisfazione sia un male.
Qualcuno, non conoscendone la natura, vi trova lo stimolo ad esplorare le proprie curiosità, finendo talvolta per migliorarsi, talvolta in un vicolo cieco, oppure in una nuova realtà sociale, culturale, sentimentale o lavorativa.
Questo, volendo essere ottimisti.
E poi c’è la realtà, fatta di abitudini, quotidianità, e qualche sorpresa, che girano intorno a quel vuoto. E più girano, più si ammassano, più il vuoto si fa netto ed evidente, come la materia intorno ad un buco nero.
Credo che la difficoltà principale consista nel convivere con quel vuoto, con la sensazione che più ci si affatichi a colmarlo, più sembri ingrandirsi, e con quel rumore sordo che produce sempre, ma che sentiamo solo quando restiamo soli.
Conviverci, dicevo. Dirsi che c’è, ormai, e che forse ha pure un senso, magari quel senso ottimistico di cui parlavo.
Dirsi questo e basta.
Soprattutto non farsi ricattare da quelle sensazioni, per non rischiare di sostituirle con qualcosa di assolutamente vero e tutt’altro che vuoto, ma che alla lunga si riveli magari del tutto sbagliato per noi.
Ecco, se ci riesci, se trovi un equilibrio stabile, ti prego, scrivimi due righe.
Io, dopo anni, ci ho rinunciato.
Esattamente come ho rinunciato a parlare non solo con chi non ascolta, ma anche con chi ascolta e non capisce.
Figuriamoci con chi non comprende.
Non so dirti se le due rinunce siano in qualche modo correlate, ma non è da escludersi, non trovi?
A presto.
Un equilibrio stabile credo non mi appartenga. E forse, da quel che scrivi nemmeno a te. Ma non penso siamo così diversi da atnti altri a questo mondo. E’ la nostra natura, probabilmente. E se ci rifletto mi dico che non averlo può essere davvero un dono, può, e lo è stato in passato, essere il motore che porta al miglioramento, sono molto d’accordo con ciò che scrivi, mi ci ritrovo. Il punto è imparare a convivere con un malessere quando questo alberga in te da tanto tempo, tanto da farti pensare che non andrà più via e vedere che questo condiziona la tua vita fino a renderla molto più grigia di come vorresti. Ti alzni la mattina e avverti ce il tuo stato d’animo è già, di partenza, quello che non renderà speciale la giornata. Questo mi avvilisce. Perchè non so combatterlo. E più mi dico : “reagisci, opponiti!” meno ci riesco. Forse mi preferivo un pò più banale 🙂